martedì 30 ottobre 2007

lunedì 29 ottobre 2007

Al #. 1

mercoledì 24 ottobre 2007

Monte Savello

martedì 23 ottobre 2007

Il fottutografo risponde

C’è chi sostiene che quella branca della fisica cosiddetta “quantistica” abbia, con i suoi stravolgimenti, innescato un processo irreversibile che presto o tardi condurrà al crollo dell’antica e da sempre indiscussa autorità del linguaggio matematico per quel che concerne la pretesa di dare spiegazione ad alcune (anzi a molte) delle più complesse e profonde domande dell’ (e sull’) essere umano.
È pacifico che la matematica sia non soltanto un sistema di simboli, ma un vero è proprio linguaggio.
Perché, dunque, è parso subito evidente (anche se spesso par proprio che non sia così) ed in fondo accettabile il carattere approssimativo delle lingue parlate (e con esse di tutte le altre forme di comunicazione non verbali, primitive ma non per questo più rozze), mentre dell’ancor più grave limite del linguaggio matematico non si è sprecato un pensiero? E se ciò, invece, è stato fatto, perché le migliori menti di formazione occidentale continuano ancora a scavare nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo?
Irrompendo sulla scena, la quantistica introdusse il germe nel sistema. Da volumi di equazioni (che come opere infinite condussero il linguaggio matematico ai suoi più alti virtuosismi), si produsse il non senso.
La matematica, in un momento di fertilità intellettuale, nel tentativo di rivoluzionarsi, di evolversi ed imprimersi nuovo elan vital, viene travolta dal tragico inaspettato: il linguaggio perfetto produce l’incontrovertibile dimostrazione della sua stessa imperfezione.
Secondo Niels Bohr, e secondo la cosiddetta interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, «prima di misurare la posizione di un elettrone (così come di una qualsiasi altra particella materiale) non ha senso chiedersi dove esso si trovi». L’elettrone ha una posizione definita, nel senso consueto del termine, solo nel momento in cui lo «osserviamo». Prima e dopo, esso avrà solo posizioni potenziali.
In quest’ottica, quando misuriamo la posizione dell’elettrone, non misuriamo un aspetto oggettivo, preesistente, della realtà: l’atto della misurazione partecipa profondamente alla creazione della realtà osservata.
Significativo, a questo riguardo, lo scambio di battute che si ebbe fra Einstein e Bohr negli anni ’20, in occasione di una conferenza di fisica, quando il primo, manifestando la propria incredulità dinnanzi all'ascientificità del concetto di non senso chiese all’altro, «cosa state cercando di dire, che se io le volto le spalle, la luna smette di brillare nel cielo?», e Bohr «no, dico solo che domandarmelo non ha senso».

giovedì 11 ottobre 2007

...

martedì 2 ottobre 2007

Valentino a Roma

...